Vini da Metodo Ancestrale: tutto sulla Tecnica Tradizionale di Spumantizzazione

I vini ancestrali sono tornati al centro dell’attenzione nel mondo enologico. Ma cosa sono esattamente e perché stanno suscitando tanto interesse? In questo articolo esploreremo la definizione di vino ancestrale, come funziona nel dettaglio il metodo ancestrale (detto anche metodo rurale o méthode ancestrale), le sue origini storiche e sviluppo nel tempo, le differenze principali rispetto al metodo classico, i vantaggi e le peculiarità di questi vini, le aree di produzione oggi in Italia e nel mondo con le uve più utilizzate, fino alle tendenze attuali che vedono un grande ritorno dei vini ancestrali tra gli appassionati di vino.
Che cos’è un vino ancestrale?
Il termine vino ancestrale si riferisce a un vino frizzante o spumante prodotto con il cosiddetto metodo ancestrale, il più antico metodo di spumantizzazione ancora in uso. È chiamato anche metodo rurale e, in ambito internazionale, noto come méthode ancestrale. In pratica, si tratta di vini ottenuti lasciando che la rifermentazione avvenga naturalmente in bottiglia grazie agli zuccheri residui del vino, senza aggiungere zucchero o lieviti esterni. Questo processo tradizionale sfrutta esclusivamente i lieviti indigeni presenti nell’uva e interrompe la fermentazione primaria prima che tutti gli zuccheri siano consumati, per poi completarla dentro la bottiglia. Il risultato è un vino frizzante genuino e “col fondo”, spesso leggermente torbido perché non viene effettuata la sboccatura (rimozione dei lieviti dal bottiglia). Questa velatura e il deposito di lieviti sul fondo non sono difetti, ma caratteristiche tipiche: anzi contribuiscono a sviluppare aromi particolari di crosta di pane e sentori lievitati marcati dovuti alla presenza dei lieviti. I vini ancestrali tendono ad avere un profilo rustico e autentico, con bollicine più delicate e meno aggressive rispetto ad altri spumanti industriali, ma con acidità e sapidità vivaci e piacevoli. Un vino ancestrale è il frutto di un approccio antico in cui la natura regola il ritmo della fermentazione. Non a caso, nonostante le sue umili origini rurali, oggi questa tipologia è diventata popolare tra gli appassionati che cercano vini dall’autenticità, unicità e naturalità nei sapori.
Come funziona il metodo ancestrale?
Il metodo ancestrale è un procedimento produttivo che si basa su un’unica fermentazione alcolica, condotta in due fasi (prima in vasca e completata in bottiglia) senza aggiunte di zucchero o lieviti estranei in fase di imbottigliamento. Di seguito vediamo passo passo le fasi tipiche di produzione di un vino ancestrale:
1) Vendemmia – Si raccolgono le uve destinate al vino ancestrale, spesso leggermente in anticipo sulla maturazione completa. Ciò assicura acidi più freschi e un tenore zuccherino non eccessivo, ideale per ottenere un vino leggero e per mantenere un residuo zuccherino naturale. Le uve possono essere vendemmiate a mano; l’importante è che siano sane, perché il metodo non farà uso di correttivi come zuccheri extra o lieviti selezionati
2) Pigiatura e fermentazione iniziale – I grappoli vengono pressati in modo soffice per estrarre il mosto e preservare i lieviti autoctoni presenti naturalmente sulle bucce. Il mosto inizia quindi la fermentazione alcolica primaria in vasche di acciaio inox a temperatura controllata. Quando una parte degli zuccheri è stata trasformata in alcol, il produttore interrompe o rallenta la fermentazione abbassando la temperatura della vasca. In questo modo rimane nel vino una quantità di zuccheri residui sufficiente a garantire una seconda fase fermentativa più avanti.
3) Imbottigliamento – Il vino parzialmente fermentato (ancora dolce e ricco di lieviti in sospensione) viene imbottigliato e chiuso, tradizionalmente senza filtrazioni e senza aggiungere lieviti o zucchero. Tutto ciò che serve per la rifermentazione è già presente naturalmente nel liquido. Per la chiusura si impiega spesso un tappo adatto a reggere la pressione interna, o tappi di sughero legati con gabbiette. L’imbottigliamento viene effettuato in inverno, quando il vino è freddo e la fermentazione quasi ferma, in modo da conservare gli zuccheri residui fino alla primavera.
4) Rifermentazione in bottiglia – Con l’innalzarsi delle temperature in primavera i lieviti naturali si “risvegliano” e riprendono a fermentare gli zuccheri rimanenti direttamente nella bottiglia. In questa seconda fase fermentativa (che in realtà è il completamento della prima) i lieviti producono ulteriore alcol e anidride carbonica (CO₂). Poiché la bottiglia è chiusa ermeticamente, la CO₂ non può disperdersi e rimane disciolta nel vino, generando le bollicine e la pressione interna tipiche di un vino frizzante spumante. Questo processo è detto presa di spuma, analogo a quanto avviene anche nel metodo classico, ma qui ottenuto senza interventi esterni. La rifermentazione in bottiglia richiede tipicamente pochi giorni o settimane per esaurire tutti gli zuccheri. Le bottiglie durante questa fase e subito dopo vengono tenute in cantina al riparo dalla luce, a temperatura fresca e costante (~12-15°C) e senza vibrazioni, fino a completamento della fermentazione.
5) Affinamento sui lieviti in bottiglia – Una volta terminata la fermentazione, il vino rimane in bottiglia sui propri lieviti esausti (fecce fini) per un certo periodo di affinamento. Questo periodo può variare molto: alcuni vini ancestrali vengono commercializzati dopo pochi mesi, altri riposano sui lieviti per anni, a seconda dello stile e delle scelte del produttore. Durante il contatto prolungato con i lieviti, il vino sviluppa ulteriore complessità aromatica (note di pane, biscotto, frutta secca) e una struttura più rotonda al palato, similmente a quanto avviene nei metodo classico con lunghi affinamenti. Tuttavia, nel metodo ancestrale spesso gli affinamenti sono più brevi rispetto, poiché l’intento è di mantenere freschezza e vivacità.
6) Nessuna sboccatura – Una caratteristica distintiva dei vini ancestrali è che non viene effettuata la sboccatura: le bottiglie non subiscono l’espulsione dei lieviti esausti dal collo come accade nel metodo classico. Il deposito di lieviti resta quindi all’interno della bottiglia, dando origine al classico aspetto velato o leggermente torbido (col fondo). Il fondo di lievito è commestibile e ricco di sostanze che arricchiscono il vino. In mescita si può scegliere se versare il vino lentamente lasciando il sedimento in bottiglia per avere un calice limpido, oppure agitare leggermente la bottiglia per rimettere in sospensione le fecce e gustare il vino nella sua interezza. In alcuni casi, soprattutto per mercati meno abituati al vino velato, alcuni produttori effettuano una leggera sboccatura o filtrazione per rendere il prodotto più limpido. Di norma, i vini ancestrali sono senza dosaggio, ossia senza aggiunta di zuccheri dopo la presa di spuma, risultando secchi o con residuo appena percettibile, e alcol moderato.
Al termine di questo processo si ottiene un vino frizzante artigianale che può essere gustato sia come aperitivo sia come vino da tutto pasto informale. È importante notare che, data la natura spontanea del metodo, ogni bottiglia può differire leggermente: spesso vini ancestrali della stessa annata presentano sfumature diverse da bottiglia a bottiglia, a riprova della loro vitalità e artigianalità.
Origini storiche del metodo ancestrale
Il metodo ancestrale affonda le sue radici in epoche lontane ed è riconosciuto come il primo metodo di spumantizzazione utilizzato dall’uomo. Si ritiene che le prime bollicine della storia siano nate proprio in questo modo – addirittura c’è chi sostiene già ai tempi dei Romani – sebbene la prima documentazione concreta risalga al tardo Medioevo/Rinascimento. Una celebre vicenda colloca l’origine del metodo ancestrale nel XVI secolo nel sud della Francia. A Limoux, cittadina della Linguadoca, i monaci benedettini dell’abbazia di Saint-Hilaire avrebbero imbottigliato un vino bianco locale credendo che la fermentazione fosse terminata, mentre invece con il freddo invernale si era solo arrestata. In primavera, con il rialzo della temperatura, il vino in bottiglia riprese spontaneamente a fermentare, producendo gas carbonico e facendo esplodere molte bottiglie a causa della pressione accumulata. Alcune bottiglie però resistettero e il risultato fu un vino piacevolmente frizzante: era nata la méthode rurale (o ancestrale). Questo avveniva attorno al 1530, ben prima che si iniziasse deliberatamente a produrre spumante. Solo più di un secolo dopo, intorno al 1668, Dom Pérignon in Champagne approfondì gli studi sulla rifermentazione controllata. Comprendendo come evitare le esplosioni accidentali e come ottenere bollicine più stabili, pose le basi di quello che diventerà il metodo champenoise (o metodo classico) moderno. La differenza fu sostanziale: il metodo Champagne prevedeva l’aggiunta controllata di zucchero e lievito per innescare una seconda fermentazione in bottiglia, permettendo di controllare meglio il processo e il risultato finale. In altre parole, Dom Pérignon contribuì a trasformare una scoperta fortuita (il metodo ancestrale) in una tecnica deliberata e ripetibile (il metodo classico). Nel frattempo, il vecchio metodo continuò ad essere utilizzato in ambito rurale. In diverse regioni d’Europa i contadini producevano vini frizzanti per consumo familiare sfruttando lo zucchero naturale residuo. Anche in molte zone d’Italia, prima dell’era industriale, era comune che il vino “andasse in frizzante” da solo in primavera: i nostri nonni imbottigliavano il vino non del tutto secco dopo la vendemmia e lo lasciavano in cantina a rifermentare. Questo avveniva senza forse piena consapevolezza scientifica, ma per empirica sapienza tramandata. Tali vini casalinghi venivano spesso consumati localmente e non immessi sul mercato, perché considerati prodotti rustici. Con l’avvento nel XIX e XX secolo dei metodi di spumantizzazione controllati, la pratica ancestrale passò in secondo piano e sopravvisse quasi solo a livello di tradizione locale. In Italia, l’avvento di spumanti più limpidi e prevedibili relegò i vini col fondo al rango di curiosità contadine, spesso non imbottigliate professionalmente. Eppure, negli ultimi decenni, c’è stata una riscoperta: quello che era il metodo “povero” dei contadini è così entrato nella produzione contemporanea come scelta consapevole, valorizzando la tradizione vinicola ancestrale.
Vantaggi e peculiarità dei vini ancestrali
I vini ancestrali possiedono una serie di peculiarità e vantaggi che li rendono unici e sempre più apprezzati da un’ampia fascia di consumatori. Ecco le principali caratteristiche di questi vini:
- Naturalità e autenticità produttiva: Essendo ottenuti senza aggiunta di zuccheri o lieviti estranei e spesso senza chiarifiche né filtrazioni, i vini ancestrali sono considerati tra i più naturali. Sfruttano i lieviti indigeni dell’uva e la dolcezza naturale del mosto, e ciò si traduce in un prodotto che riflette fedelmente la materia prima e il territorio. Il concetto di terroir è esaltato: i lieviti autoctoni presenti sulle bucce partecipano alla fermentazione e contribuiscono a esprimere il vero carattere del luogo di origine del vino. Ogni bottiglia può raccontare la storia dell’annata e del vigneto in modo genuino, senza interventi correttivi. Chi cerca vini “veri” e poco artefatti trova negli ancestrali un terreno fertile.
- Bassa solforosa e pochi additivi: Molti produttori di metodo ancestrale adottano una filosofia minimale anche nella solfitazione. Spesso questi vini vengono imbottigliati senza aggiunta di solfiti o con dose solforosa molto bassa, grazie alla protezione naturale data dalla CO₂ e dall’ambiente ridotto della bottiglia chiusa. L’assenza di sboccatura e travasi ripetuti riduce anche l’ossidazione, consentendo di limitare i conservanti. Ne risultano vini percepiti come più “leggeri” e digeribili da alcuni consumatori sensibili ai solfiti. Inoltre, non subendo filtrazioni strette, spesso non vengono aggiunti coadiuvanti enologici, mantenendo il vino il più puro possibile.
- Bollicine delicate e integrate: I vini ancestrali hanno in genere una pressione moderata (talora classificati come semi-sparkling). Le bollicine sono finemente diffuse e meno aggressive sul palato, offrendo una spuma cremosa ma soffice. Questa effervescenza gentile, unita alla mancanza di dosaggio zuccherino, li rende estremamente bevibili. L’anidride carbonica non sovrasta il gusto ma si amalgama dando croccantezza e vivacità al sorso.
- Gradazione alcolica contenuta: Spesso i vini ancestrali hanno un grado alcolico relativamente basso o moderato (generalmente tra 10% e 12% vol). Questo perché le uve possono essere raccolte un po’ prima e non si aggiungono zuccheri per aumentare l’alcol. Il risultato sono vini freschi, leggeri, ideali come aperitivo o per accompagnare piatti non troppo strutturati. La bassa gradazione li rende anche adatti a un consumo spensierato, ad esempio in estate.
- Profilo organolettico unico: Grazie al contatto prolungato con i lieviti e all’assenza di filtrazione, i vini ancestrali sviluppano sapori e profumi peculiari. Tipicamente possiamo trovare note di pane fresco, agrumi, frutta fresca e talvolta leggere note di mandorla o miele a seconda dell’uva. La presenza del fondo di lievito può dare anche una sensazione gustativa piena e una leggera torbidità che paradossalmente aumenta la percezione di morbidezza al palato. Sono vini in continua evoluzione: la stessa bottiglia, assaggiata a mesi di distanza, potrebbe aver sviluppato sfumature diverse grazie all’azione dei lieviti che prosegue lentamente. Questa complessità dinamica è un vantaggio per chi ama sperimentare: ogni sorso può riservare qualche sorpresa.
- Tradizione e artigianalità: Acquistare un vino ancestrale spesso significa sostenere piccoli produttori artigianali e metodi tradizionali che rischiavano di perdersi. C’è un valore culturale nel bere un vino fatto “come una volta”. Questi prodotti incarnano la sostenibilità e la sapienza contadina. Per molti appassionati, il fascino sta anche nel gesto di capovolgere delicatamente la bottiglia per risvegliare il fondo e nel servire un vino che visivamente comunica la sua genuinità.
Dove viene prodotto oggi il vino ancestrale?
Il vino ancestrale, viene oggi prodotto in diverse regioni, ognuna con una propria interpretazione e un forte legame con il territorio:
Sicilia: La Sicilia rappresenta un crocevia storico per la viticoltura ancestrale, grazie alla sua tradizione vinicola antichissima e alla grande varietà di uve autoctone. I produttori siciliani stanno riscoprendo le tecniche di vinificazione tradizionali, per valorizzare il patrimonio vitivinicolo dell’isola. Le varietà come il Grillo, il Nero d’Avola e la Catarratto sono le protagoniste di questi vini. Grazie al clima caldo e soleggiato, le uve raggiungono una maturazione perfetta per dare vita a vini frizzanti naturali, freschi e minerali. Diverse zone sono diventate importanti focolai di produzione di vini ancestrali, grazie anche all’interesse per il biologico e il naturale che sta crescendo in tutta la regione.
Italia: In tutta Italia, il vino ancestrale sta vivendo una rinascita, con molte regioni che stanno riscoprendo e valorizzando le tecniche tradizionali di vinificazione. Ad esempio, in Veneto, produttori di Prosecco stanno creando versioni ancestrali, in cui il vino viene rifermentato in bottiglia senza aggiunta di lieviti o zuccheri. Anche in Emilia-Romagna, patria del Lambrusco, i produttori stanno riscoprendo i vini col fondo, utilizzando uve come il Lambrusco di Sorbara e la Malvasia di Candia per ottenere vini freschi e frizzanti, ma con un approccio totalmente naturale. In Lombardia, il Franciacorta sta facendo piccoli esperimenti con il metodo ancestrale, cercando di applicare tecniche più naturali pur mantenendo una qualità alta e riconosciuta. Anche in Toscana, alcune piccole cantine stanno provando a produrre vini ancestrali da uve come il Trebbiano e il Sangiovese, enfatizzando la freschezza e l’autenticità dei territori.
Resto del Mondo: Il fenomeno del vino ancestrale non si limita all’Italia, ma sta prendendo piede anche in altre regioni del mondo. In Francia, per esempio, le aree della Linguadoca e della Loira sono molto attive nella produzione di Pét-Nat, utilizzando varietà come Chenin Blanc, Gamay e Mauzac. La Spagna, in particolare la Catalogna, sta riscoprendo il metodo ancestrale per produrre vini freschi e frizzanti da vitigni autoctoni come il Xarel-lo. In Australia, la crescente scena dei vini naturali ha portato diversi produttori a sperimentare con il metodo ancestrale, utilizzando varietà locali come il Shiraz per ottenere spumanti frizzanti.